Spazio Labo’ – Centro di fotografia | Strada Maggiore 29 | Bologna

MARTINA ZANIN: I MADE THEM RUN AWAY

I made them run away

Mostra personale di Martina Zanin

a cura di Laura De Marco

29 ottobre 2021 - 14 gennaio 2022

Prorogata fino al 25 febbraio 2022.

OPENING
venerdì 29 ottobre ore 19
VISITA GUIDATA
venerdì 29 ottobre ore 18: su prenotazione, posti limitati
APERTURA MOSTRA
fino al 25 febbraio 2022, dal lunedì al venerdì, ore 16-19
INGRESSO LIBERO
ingresso gratuito e senza registrazione
GREEN PASS
ingresso consentito ai soli possessori di Green Pass

I Made Them Run Away è una storia a più livelli che intreccia insieme immagini di famiglia e fotografia con testi scritti dalla madre dell’artista. Raccoglie ricordi del passato e sentimenti presenti per indagare le dinamiche delle relazioni – il bisogno di attenzione, le aspettative che causano disillusione, insicurezza e giudizio.

Una madre, una figlia

Una madre. Una figlia. Insieme: una relazione. Una relazione che, tuttavia, da sola non basta. La madre ha bisogno di un compagno, la figlia, forse, di un padre. Dicono che sia così che deve andare, ma è poi sempre vero? In questa storia sì, almeno all’apparenza.
Martina Zanin cresce con una giovane madre, Giulia, che ha un sogno d’amore e cerca un uomo con cui realizzarlo, qualcuno con cui potersi sentire al sicuro, amata e amabile, con cui crescere la figlia, con cui progettare la vita, giorno dopo giorno. Ma le relazioni che instaura non decollano, per lo più fanno il giro della pista e poi tornano indietro, e la donna si ritrova sempre da sola, con la figlia che la osserva e che si sente a un certo punto in dovere di prendersi la responsabilità dei presunti fallimenti amorosi della genitrice. Da qui il titolo del primo libro della giovane artista friulana, I made them run away: “Io li ho fatti scappare”. Io e loro, un rapporto che viene messo in campo per affrontarne un altro, quello tra i due “io” femminili di questa storia, la figlia e la madre, appunto.
Abbiamo sempre a che fare con la figura della madre, noi figlie. Annie Ernaux ne scrive maestosamente nel suo Una donna, Sheila Heti fa altrettanto in Maternità, e si potrebbero citare decine di altri lavori: esiste una sterminata letteratura sul tema. Ne fa parte adesso anche I made them run away, lavoro che parte da quel them per arrivare a riflettere sulla vita interiore della madre, della donna adulta, del punto di riferimento femminile che ha per forza di cose influenzato la visione dell’artista: un pretesto per parlare non tanto di relazioni fallite o del senso di responsabilità personale dietro a quei fallimenti, ma dei rapporti intimi in generale – a partire da quello madre-figlia –, della loro fragilità, delle delusioni e dell’importanza di farci i conti, a un certo punto.
I “loro” menzionati nel titolo del lavoro di Zanin sono un numero imprecisato di uomini, compagni della madre Giulia che hanno attraversato la vita delle due donne per periodi più o meno lunghi e che ogni volta sono spariti. Come facciamo a saperlo? Perché la loro sparizione è palese, è lì davanti ai nostri occhi. Zanin possiede un album di famiglia peculiare, frutto della decisione della madre di riscrivere il copione della sua vita andando a censurare fisicamente tutte le figure maschili che ne hanno fatto parte: le fotografie delle vacanze, dei momenti importanti – compleanni, matrimoni, festività –, insomma quelle che quasi ognuno di noi ha da qualche parte in casa o in cantina, sono state strappate ogni qualvolta compariva in esse un uomo che la donna non voleva ricordare. Immagini, dunque, piene di assenze presenti, fisicamente visibili nel loro non esserci: guardando bene, oltre i visi sorridenti delle due donne ritratte, si nota un piede, una mano, un’ombra. Qualcuno era lì con loro. Oggetti preziosi, rinvenuti dallo scavo nei cassetti della memoria, ai quali Zanin attribuisce, riconoscendolo e facendolo proprio, un valore artistico importante. Sono il ponte tra la sua memoria, di bambina prima e di adolescente poi, e quella della madre, sono quel che resta dei tentativi di famiglia non andati a buon fine, che hanno segnato il modo di entrambe di percepire la presenza dell’uomo nelle rispettive vite e più in generale di considerare quel complesso universo che chiamiamo “relazione”.
Ma c’è di più, la presenza della madre all’interno del lavoro di Zanin non è solo nelle fotografie strappate rinvenute nell’archivio personale: I made them run away si appoggia su un apparato testuale che parte da un diario che Giulia tiene per alcuni anni – e successivamente finisce per pubblicare in un libro. Si tratta di una serie di lettere a un uomo immaginario, a qualcuno che non può fare male né deludere, anche se finisce per farlo lo stesso; sono confessioni di una persona in lotta con sé stessa, in costante ricerca dell’amore perfetto come antidoto alla solitudine, dalle quali Zanin estrapola frasi per usarle come un coro che si aggiunge alla sua voce all’interno della narrazione fotografica. Dalle parole di Giulia emerge una percezione degli uomini che quando ci sono fuggono, quando non fuggono fanno male, quando non fuggono e non fanno male sono solo nei sogni. Emergono aspettative, paure, desideri che si scontrano con la realtà, quel vissuto concreto, quotidiano, che a volte fa sì che sia più facile relegare la vita a una dimensione di sogno anziché viverla davvero.
Con I made them run away Zanin ha la possibilità di sbrogliare la matassa, fragile e robusta allo stesso tempo, della sua storia famigliare, di far riaffiorare appena il passato per capire come leggere e stillare i suoi residui attraverso la lente di ingrandimento dell’arte. E qui entriamo in gioco anche noi, spettatori di un teatro di vita personale messo in scena col filtro della distanza, della metafora e in generale dell’interpretazione: io ho vissuto questo e adesso te lo racconto in una maniera tale che possa arrivare anche a te, a tua volta frutto di una serie di tasselli che non si sono sempre incastrati a dovere nel mosaico che ci compone e che ci dice, oggi, chi siamo.
Un’operazione di traduzione di emozioni e sensazioni, quelle cose vaghissime che ci attraversano ogni giorno, in un linguaggio visivo specifico e universale al contempo. È un libro sensoriale, quello di Zanin: nelle sue fotografie guardiamo – e guardando sentiamo – un mondo fatto di cose che tirano, stringono, schiacciano, fermano, incidono, bagnano, che sono fredde dure e opache, che potenzialmente fanno male. Ma lo sguardo dell’artista è delicato, morbido, preciso nel suo focalizzarsi su dettagli di vita e cose quotidiane che si fanno portatori di un mondo simbolico accessibile e diretto, nonostante la complessità dei temi trattati.
Mescolando diverse narrazioni – la sua, quella della madre, quella silente degli uomini che non ci sono –, Zanin parla della paura di soffrire, dei tentativi spesso maldestri di superarla, del dolore della solitudine, della fragilità umana. Delle tensioni che scaturiscono dalle relazioni che non funzionano, dagli incontri sessuali che non portano altrove, dalla frustrazione di ritrovarsi, alla fine dei giochi, da sole. Della relazione tra una madre e una figlia – per riprendere l’inizio di queste righe –, e di quanto le esperienze che viviamo crescendo danno forma a quel che siamo e proviamo da adulti.
Quante responsabilità dà una madre a una figlia? La responsabilità di osservarla e riuscire a tenere le giuste distanze, a non identificarsi, a non arrivare a dirsi “anche io sarò così”: «Credevo che crescendo sarei diventata lei», scrive Ernaux in Una donna.
In I made them run away c’è qualcosa che spesso dà fastidio, che non va come dovrebbe andare; c’è precarietà, fragilità, c’è una ragazza che scopre le difficoltà delle relazioni, e in particolare quelle con gli uomini, assorbendo il dolore del vissuto della madre. C’è la mano di una bimba che tocca un pomo d’Adamo: un tentativo di conoscenza dell’altro tipicamente infantile, attraverso il tatto. C’è il pugno di un uomo che stringe un polso di donna e c’è, ancora, la mano di una donna che copre il volto di un’altra donna accasciata su una sedia: è la mano dell’autrice, che tocca quello che ha bisogno di conoscere, il corpo della madre e in particolare il suo viso, il luogo della conoscenza, dell’identità. Perché in I made them run away c’è anche una riconciliazione tra le due donne, un movimento di chiarezza e di risalita delle emozioni dal buco nero della nostra memoria alla consapevolezza del nostro presente. È una mano che nasconde o è una mano che chiede connessione? Si percepisce che è una mano morbida, appena appoggiata, che compie però un gesto forte: adesso parlo io, questa è la mia storia.

Laura De Marco

Martina Zanin, "I made them run away" (Skinnerboox, 2021)

MARTINA ZANIN
I MADE THEM RUN AWAY
a cura di Laura De Marco

29 ottobre 2021 – 14 gennaio 2022

Strada Maggiore 29, Bologna
Campanello Spazio Labo’, cortile interno

Visita guidata con l’autrice

VENERDÌ 29 OTTOBRE 2021, ORE 18

Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria, posti limitati: https://bit.ly/2X7a55W 

All’interno della mostra sarà possibile consultare e acquistare il libro I made them run away di Martina Zanin (Skinnerboox, 2021).

Martina Zanin (1994) è un’artista visiva nata a San Daniele del Friuli. Si è diplomata con lode in Fotografia all’Istituto Superiore di Fotografia di Roma e ha conseguito il Master in Fotografia Contemporanea presso l‘Istituto Europeo di Design di Madrid. La sua pratica artistica, legata alle sue esperienze personali, affronta vari temi tra i quali sono centrali la memoria, le relazioni e le emozioni. Utilizza la fotografia associata ad altri media, come la scrittura, il materiale d’archivio, il video, e il suono, creando così una narrativa a più livelli all’interno della quale gli spazi di narrazione e le percezioni si intrecciano. Il suo linguaggio visivo è caratterizzato da un’espressione poetica. Zanin seleziona, sovrappone e/o mette in sequenza le immagini seguendo una struttura nella quale queste parlano fra loro, determinando associazioni visive e dinamiche con l’intento di andare oltre ciò che è visibile. Zanin è l’autrice di I Made Them Run Away pubblicato da SKINNERBOOX (2021). È vincitrice del premio Camera Work 2021 e di Cantica21.Italian Contemporary Art Everywhere, promosso da MAECI e MiC. È stata nominata per il Foam Paul Huf Award 2019 e C/O Berlin Talent Award 2020, ed è finalista di Giovane Fotografia Italiana #8, Premio Francesco Fabbri 2020 e Luma Rencontres Dummy Award Arles 2021. Il suo lavoro è stato esposto in mostre personali e collettive in istituzioni, gallerie, festivals, e spazi no profit a livello europeo. Nel 2019 ha preso parte alla residenza d’artista SAM Residency Program. Zanin è rappresentata da studiofaganel, Gorizia.

MARTINA ZANIN
I MADE THEM RUN AWAY
A cura di Laura De Marco
29.10.2021 / 14.01.2022

Inaugurazione: venerdì 29 ottobre ore dalle 19 alle 21. Ingresso consentito ai soli possessori di Green Pass.

Visita guidata: venerdì 29 ottobre, ore 18.

Spazio Labo’ | Photography Strada Maggiore 29, Bologna Campanello Spazio Labo’ | cortile interno

info@spaziolabo.it | press@spaziolabo.it | 328 3383634

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