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Spazio Labo’ – Centro di fotografia | Strada Maggiore 29 | Bologna
Progetto realizzato, in collaborazione con Francesca Farini, all’interno del modulo di fotografia Documentaria, tenuto da Martino Lombezzi, e incluso nella pubblicazione ID#02 di Edizioni Labo’ (disponibile presso la libreria di Spazio Labo’).
Progetto realizzato all’interno del progetto “re/esistenze” del modulo di Ricerca Visiva, tenuto da Luca Capuano.
[…] la grotta ha sempre assunto funzioni protettive; quasi che la madre terra consentisse ai suoi gli di rifugiarsi nel suo ventre. […] Ogni nucleo abitativo e quasi ogni abitazione isolata delle montagne e colline bolognesi aveva il suo rifugio costruito in modo da potere dare prote- zione dalle esplosioni e dai colpi delle armi da fuoco, compresi i bombardamenti aerei. Ma quando cominciarono i rastrellamenti e le stragi di popolazione civile, la gente, se poteva, cominciò a nascondersi nelle grotte.
Le grotte bolognesi, essenzialmente scavate dall’azione dell’acqua su rocce gessose, presentavano aspetti non completamente adatti alle lunghe permanenze da parte di persone che avrebbero avuto bisogno di ambienti confortevoli e sani: anziani, donne e bambini anche molto piccoli.
Ma fuori c’erano le battaglie, le bombe, l’odio fra le parti che si contrapponevano e proprio i più deboli erano i più esposti ad ogni tipo di rischio. Le nostre grotte sono umide e fangose […]. Gli ingressi sono spesso di di cile individuazione data la vegetazione di rovi e sottobosco che li nascondono […]. Negli ultimi anni della guerra, molte grotte bolognesi sono state utilizzate per periodi anche lunghi come abitazioni e rifugi sia dalla popolazione civile che cercava scampo, sia dalle brigate partigiane che avevano bisogno di luoghi ben nascosti per depositare armi e materiali necessari per le loro azioni di guerra e per potere ripararsi, riposare ed avere contatti con la popolazione che li sosteneva.[…] In tempo di guerra il ripetersi di bombardamenti aerei spinsero gli abitanti del posto, ma anche molte famiglie sfollate da Bologna, a creare ed utilizzare rifu- gi all’interno delle grotte più adatte allo scopo. La Coralupo, la risorgente dell’Acqua Fredda, il Farneto, la Spipola, il Buco dei Buoi ed altre, sono state utilizzate come rifugi naturali e presentano ancora tracce di adattamenti; manufatti creati per rendere più facilmente utilizzabili fenomeni geologici che presentavano anche aspetti negativi ed ostili alla frequentazione umana. Le poche persone oggi in grado di ricordare il periodo passato vivendo all’interno di queste grotte, in quell’epoca erano perlopiù bambini o ragazzi molto giovani, perciò i loro ricordi non possono essere attualmente molto precisi.
Alcune di tali cavità sono state usate in tempi diversi da diversi utilizzatori. Questo perché si tratta di zone dove si sono a rontati l’esercito tedesco che, supportato dalle milizie fasciste della Repubblica di Salò che a ancavano e guidavano i reparti incaricati dei rastrellamenti e, spesso, delle stragi perpetrate ai danni della popolazione civile, era schierato lungo la linea gotica nelle valli del Reno e del Setta, e l’esercito alleato in avanzata dal sud, a ancato dalle principali brigate partigiane. Man mano che gli uni si ritiravano e gli altri avanzavano, alcu- ne grotte e rifugi arti ciali venivano utilizzate da entrambi i contendenti, oltre ai civili che tentavano, spesso invano, di sottrarsi ai bombardamenti alleati da una parte e dalle carne cine e massacri nazifascisti dall’altra. […]
Progetto realizzato, in collaborazione con Francesca Farini, all’interno del modulo di Fotografia senza macchina fotografia, tenuto da Giuseppe De Mattia.
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